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Il mese di gennaio ha sorpreso con un ritorno alla calma sui mercati finanziari. Archiviati gli eccessi di vendite, che avevano agitato la fine del 2018, adesso gli operatori sembrano aver di nuovo ritrovato fiducia.
I mercati emergenti restano gli osservati speciali di quest’ultima parte dell’anno. Ma che cosa sta accadendo nelle aree ad alta crescita del mondo che, negli ultimi anni, hanno tanto attirato l’attenzione degli investitori?
Sui mercati il petrolio è tornato protagonista. Nelle ultime settimane il prezzo del greggio ha ripreso a rialzarsi. La sveglia è arrivata dopo un letargo che durava da diversi anni ormai e che aveva schiacciato le quotazioni in area 40-50 dollari.
Le dichiarazioni della Fed riguardanti la riunione del 19-20 settembre sono state lette come più accomodanti rispetto alle altre recenti comunicazioni della banca centrale.
Negli Stati Uniti, dal punto di vista macro non si segnalano novità rilevanti, fatta eccezione per l’ennesima lettura dell’inflazione al di sotto delle attese. Sul fronte politico la testimonianza dell'ex direttore del FBI Comey davanti al Senato si è rivelata meno compromettente per Trump di quanto potenzialmente avrebbe potuto essere.
I dati macro faticano a tenere il passo dell’ottimismo segnalato dagli indicatori stimati attraverso sondaggi. Nello specifico, l’inflazione risulta leggermente al di sotto del consenso e in ribasso rispetto ai massimi registrati recentemente.
I due eventi più importanti delle ultime settimane sono stati la riunione della BCE del 9 marzo e i dati sul mercato del lavoro USA. Negli Stati Uniti il mercato del lavoro rimane solido, con 235mila nuovi assunti e il tasso di disoccupazione al 4.7% (con l’aumento del tasso di partecipazione e delle paghe orarie).
L’economia americana continua a fornire segnali di solidità. Recentemente le conferme sono venute dal mercato del lavoro e dalla fiducia degli imprenditori manifatturieri.
Lo stimolo fiscale promesso da Trump calerà su un’economia che già si trova in uno stato di piena occupazione. Questo fatto da solo, anche non considerando gli effetti di possibili misure protezionistiche o di riduzione degli immigrati illegali, dovrebbe portare a un surriscaldamento dell’economia e a una ripresa dei salari (già in trend positivo).
Con l’elezione di Trump la gestione della politica economica USA potrebbe segnare un punto di svolta epocale, con politiche fiscali marcatamente reflazionistiche, protezionismo e minor attivismo monetario.
Il flusso di dati continua a deludere le attese. Archiviato il PIL del primo trimestre con una modesta contrazione dovremmo assistere ad un rimbalzo della crescita nel secondo trimestre dell’anno. Tuttavia l’entità sarà modesta perché dollaro debole e calo degli investimenti nel settore petrolifero non trovano nei consumi delle famiglie un’adeguata compensazione.
L’inaspettata contrazione del PIL nel Q1 a causa del maltempo, unitamente ad una ripresa che non sembra eccezionalmente vigorosa, rendono difficilmente raggiungibile l’obiettivo del 3% di crescita media annua ipotizzato dalla banca centrale e dai mercati ad inizio anno.
Dati misti per quanto riguarda gli Stati Uniti. Nel settore edilizio l’evidenza è stata favorevole alla visione di un proseguimento della fase di crescita dell’immobiliare, il cui contributo al PIL dovrebbe continuare ad essere positivo.
Il dato più importante del periodo, quello relativo al mercato del lavoro, non è stato pubblicato a causa della chiusura degli uffici pubblici conseguente al mancato accordo sul budget federale.
Rispetto allo scorso mese vi è stato un miglioramento nei principali indicatori anticipatori. Sono infatti ora in trend chiaramente ascendente l’indice ISM, la fiducia delle piccole-medie imprese ed il leading indicator.
L’esito dei dati diffusi in settimana è risultato misto, dato che le vendite al dettaglio hanno deluso le attese, e rafforzato l’aspettativa di una decelerazione del PIL in Q2 rispetto al Q1, il leading indicator non ha fatto registrare progressi, e per contro la fiducia del mercato immobiliare ha fatto registrare un nuovo massimo post recessione.
In una settimana non particolarmente ricca dal punto di vista dell’evidenza macro le parole della FED hanno ancora condizionato in misura significativa la dinamica dei mercati finanziari.
Con il passare dei mesi sembra che l’economia americana stia reggendo bene allo shock fiscale di inizio anno. Questo messaggio risulta avvalorato dalle numerose statistiche diffuse in settimana, in cui vi è stato un progresso sopra alle attese degli indicatori di fiducia della piccole e media impresa, del settore immobiliare e nella fiducia dei consumatori.
L’aumento delle tasse sul reddito deciso con l’accordo del 31 dicembre si sta manifestando in una moderazione dei consumi delle famiglie. Infatti, come mostra il grafico sopra riportato, dopo due solidi dati a novembre e dicembre, gennaio ha fatto registrare una decisa moderazione nella lettura delle vendite al dettaglio.
Negli ultimi anni gli istituti del nostro Paese hanno quasi raddoppiato i loro livelli medi di patrimonializzazione. Il percorso più probabile è quello di una maggior restrizione del canale del credito. Parla Andrea Rotti, Amministratore Delegato Ersel, a La Stampa.
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