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I mercati emergenti restano gli osservati speciali di quest’ultima parte dell’anno. Ma che cosa sta accadendo nelle aree ad alta crescita del mondo che, negli ultimi anni, hanno tanto attirato l’attenzione degli investitori? 

Cambio di marcia

Per dare una risposta occorre guardare al «cambio di passo» che, negli ultimi tempi, ha caratterizzato le diverse economie mondiali. Se fino all’anno scorso, viaggiavano tutte a velocità sincronizzata, da quest’anno a premere ancora sull’acceleratore sono rimasti soltanto gli Stati Uniti. Il resto del mondo, seppur con andamenti differenti, ha «scalato marcia». La dinamica a stelle e strisce ha a che fare con le nuove misure interne ed è legata anche agli effetti benefici arrivati dagli stimoli fiscali introdotti dal Presidente americano, Donald Trump.
 

In questo nuovo scenario di crescita, le asset class dei Paesi emergenti hanno reagito con un forte sbandamento. Di fatto patiscono un doppio freno. Da un lato pagano il rallentamento economico che sta vivendo la Cina, pur coerente con gli obiettivi dichiarati dal governo di Pechino. Dall’altro lato, gli emergenti soffrono fortemente la nuova politica monetaria americana che, con il progressivo rialzo dei tassi d’interesse, potrebbe far defluire capitali da queste aree. Il quadro, già traballante, è aggravato dall’escalation delle misure protezionistiche americane. Il risultato di questo insieme di fattori ha pesato sugli anelli più deboli dell’universo emergente, vale a dire Turchia e Argentina. L’effetto contagio innescato dalle brutte notizie su questi due Paesi ha poi scatenato la fase di elevata volatilità che si è registrata in agosto su tutte le asset class emergenti. A finire sotto tiro sono state, in particolare, le valute dell’area che hanno perso terreno sul dollaro e sull’euro.


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