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Alla fine il grande salto in avanti per l’Europa è arrivato e, per dirla con le parole pronunciate da Angela Merkel, segnerà «l’inizio di una nuova era per l’Unione europea».
L’accordo sul Recovery Fund, lo strumento per rilanciare le economie europee in pesante difficoltà dopo la pandemia causata dal Covid, rappresenta un importante punto di svolta che darà il via a un nuovo modello di Europa, più «unita» e più «solidale».
Il cammino verso questo storico via libera non è stato semplice. Fino alla fine, il tavolo delle trattative tra i 27 leader ha rischiato di saltare. Soltanto i «compromessi» dell’ultimo minuto hanno consentito di arrivare all’esito positivo, con un maxi-pacchetto da 750 miliardi di euro da immettere nel circuito dell’economia (390 sotto forma di trasferimenti e i restanti 360 sotto forma di prestiti).
La decisione è di grande importanza ma la storia non è finita. Per arrivare a questo risultato è, infatti, stato necessario mettere d’accordo i tre diversi schieramenti che si sono dati battaglia negli ultimi mesi, tutti con i propri «assi» da giocare ma anche con qualche elemento di debolezza nella discussione. Al centro della partita c’erano le decisioni sulle regole per accedere ai finanziamenti e soprattutto l’equilibrio fra trasferimenti a fondo perduto, quelli tanto invocati dai più sofferenti Paesi del Sud Europa, e i prestiti da restituire. Una modalità, quest’ultima, su cui hanno insistito con forza i così detti Paesi «frugali», sin da subito poco disposti ad aprire i cordoni della borsa. Nel mezzo della disputa anche i «nuovi» arrivati, i Paesi dell’Est Europa, con le proprie necessità ma anche con diverse carenze.
Le posizioni negoziali con cui i tre diversi schieramenti si sono presentati al vertice di Bruxelles tratteggiano il percorso di sfide che l’Unione adesso avrà di fronte a sé. Da un lato, i Paesi del Sud Europa, i più indebitati e con i conti più fragili, in perenne ritardo sulle riforme, per ottenere la svolta hanno puntato sull’emergenza del momento e ne hanno fatto un punto di forza. Di questo asse fanno parte soprattutto Italia e Spagna, i Paesi più colpiti dalla pandemia, con il settore del turismo a pezzi e i tassi di disoccupazione in preoccupante crescita. Ora dovranno mettere in campo riforme e tagli. Dall’altra parte i quattro «frugali» hanno battuto i pugni sul tavolo delle trattative.
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