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Settimana povera di evidenze dal punto di vista macro. Il timore che anche per quest’anno vi sia la possibilità di vedere un rallentamento della crescita a partire dalla primavera, come già successo nel 2010 e soprattutto nel 2011, non ha trovato conferma nei dati recenti.
Soprattutto sul mercato del lavoro gli indicatori Jolt, la statistica settimanale sui sussidi alla disoccupazione (per la verità due dati puntuali non di primaria importanza) e soprattutto la componente occupazione del sondaggio sulla fiducia tra le piccole-medie imprese descrivono una certa dinamicità del mercato occupazionale non anticipando in alcun modo un calo permanente delle assunzioni mensili, cosa che taluni osservatori avevano ipotizzato. Rimane quindi l’aspettativa di una creazione mensile di nuovi occupati (non farm payrolls) poco sotto le 200mila unità.
Riportiamo qui di seguito un breve riassunto delle considerazioni fatte dai professori Gros Pietro, Onida, Boeri e Giavazzi ad un convegno organizzato da Bloomberg. I temi affrontati sono stati i seguenti. Le conseguenze delle recenti votazioni in Europa: (Gros-Pietro) il voto è stato contro l’austerity, l’elettorato adesso vuole misure indirizzate alla crescita. Dati i vincoli al bilancio pubblico si può far ripartire l’economia con liberalizzazioni a livello europeo, aprire i settori protetti e con più investimenti in infrastrutture che hanno dei ritorni non legati al ciclo economico e sono in grado di attirare capitali privati. (Onida) bisogna dare ai mercati quello che chiedono e cioè non solo austerità ma anche misure pro crescita quindi adottare la ricetta americana. In Europa questo vuole dire
investimenti pubblici concertati e adozione della Golden Rule. (Boeri) I problemi maggiori sono politici e non tecnico economici. All’opposizione politica tedesca ai salvataggi si è ora aggiunta una forte opposizione degli elettorati nei paesi periferici a nuove misure di austerità. Siccome i giovani nei paesi periferici sono al centro della protesta perché è su di loro che cadono i costi maggiori (senza che ne abbiano la responsabilità) occorre convincere gli elettori dei paesi core che gli aiuti a cui sono chiamati servono a dare una speranza a gruppi sociali che non hanno colpe nella crisi. Conseguenze di un’uscita della Grecia dall’Euro: (Gros-Pietro) le conseguenze per la Grecia di un evento che non è auspicabile ma possibile sarebbero pesantissime perché si distruggerebbe il sistema dei pagamenti. L’unica nota positiva, se così si può definire, è che il “test” verrebbe fatto su un paese di ridotte dimensioni e con relazioni economiche contenute con il resto dell’eurozona. (Boeri) l’uscita dall’euro è possibile ma non auspicabile, i rischi sono troppo grossi. Tutti e tre gli oratori hanno posto l’accento sul fatto che i rischi maggiori di una uscita della Grecia dall’euro sono sui mercati finanziari con ondate di vendite sulle borse e sui titoli di Stato che si propagano agli altri paesi periferici. Il canale di trasmissione per quanto riguarda l’economia reale è contenuto visto il peso ridotto dell’economia greca. Il divario di competitività tra i paesi di grosse dimensioni (Italia Francia e Spagna vs Germania) è un problema? (Gros Pietro) si, e sotto l’euro l’unico aggiustamento possibile è quello nei prezzi interni cioè salari e prezzi più alti in Germania e stabili o in discesa in Italia, Spagna e Francia. (Boeri) si, ma fino ad un certo punto. Negli anni ’80 il dibattito tra gli economisti era tutto incentrato sui vantaggi dei cambi fissi in un’area altamente integrata come quella europea; ora di questo non si parla più e c’è chi sostiene che sia meglio ritornare alle valute nazionali per compensare questi divari di
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