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Attenzione a dove va l'inflazione. É premiante saper trasferire gli aumenti dei costi ai clienti. Ne parla Giorgio Bensa, Responsabile delle Gestioni Patrimoniali del Gruppo Ersel, a Milano Finanza.
Si fa un gran parlare di ritorno dell'inflazione, ma lo scenario è ancora in divenire: tra fattori inflazionistici e deflazionistici strutturali e transitori che cercano di imporre le proprie ragioni.
Alla fine quale prevarrà e quale scenario si configurerà? Un ritorno ai tassi galoppanti degli anni '70, il contesto di tassi bassi a cui ci siamo abituati nell'ultimo decennio o una terza via genuinamente nuova? É stato chiesto a Giorgio Bensa, Responsabile Gestioni Patrimoniali di Ersel. Che innanzitutto ha delineato quali siano le forze in campo.
«Tra le forze deflazionistiche strutturali che hanno dominato nell'ultimo trentennio possiamo ricordare la globalizzazione - dice Bensa - che ha immesso nel sistema economico moltissimi Paesi in via di sviluppo in grado di produrre beni e servizi a basso costo, l'evoluzione tecnologica, che ha portato efficienza ai processi produttivi, e la scarsa partecipazione alle organizzazioni sindacali, che ha ridotto il potere contrattuale dei lavoratori. Alcuni di questi sembrano destinati a venir meno, con un potenziale impatto al rialzo per la dinamica dei prezzi su un orizzonte di medio - lungo termine».
Tra i fattori inflazionistici strutturali attuali Bensa cita invece la demografia, con consumi crescenti a fronte di una forza lavoro e quindi capacità produttiva in calo per l'invecchiamento della popolazione, ma anche «la transizione energetica, con gli ingenti investimenti in prodotti e strutture necessari, l'accorciamento delle catene logistiche in seguito al Covid e ai conflitti che potrebbe portare a produrre vicino alle aree di vendita, ma a costi più elevati, e il populismo che porta a soddisfare le richieste dell'elettorato con minore attenzione ai vincoli economici e la necessità, come via di uscitameno dolorosa di avere una certa inflazione per abbassare il debito reale».
E poi ci sono i fattori transitori: dal lato della deflazione le politiche monetarie restrittive e il progressivo venir meno dei colli di bottiglia dopo i lockdown; dal lato dell'inflazione il supporto pubblico a consumi e investimenti, nella fase della pandemia prima e nel tentativo di compensare parte dei rincari dovuti alla guerra in Ucraina poi, e gli scarsi investimenti in ricerca e produzione di molte materie prime negli ultimi anni che ne determinano una scarsità temporanea.
Il contesto è di estrema incertezza, ma secondo l'esperto di Ersel «le banche centrali potrebbero riuscire a mantenere l'inflazione non troppo distante dai propri obiettivi solo che, se in passato lo sforzo era raggiungerli combattendo la deflazione, d'ora in avanti la battaglia potrebbe essere contro prezzi che tendono a eccedere il target». Se questa ipotesi è corretta gli impatti sulle strategie di gestione del patrimonio potrebbero essere tutto sommato contenuti e sarebbero sufficienti alcuni aggiustamenti senza l'esigenza di ripensare tutta l'impostazione.
«Per quanto riguarda la componente finanziaria - precisa Bensa - potrebbe essere sufficiente privilegiare le scadenze a medio - breve termine per le obbligazioni, mentre negli ultimi trent'anni sono state decisamente vincenti le strategie focalizzate sul lungo termine in un contesto di continui ribassi per i tassi di interesse; in ambito azionario occorrerebbe grande attenzione alla capacità delle aziende di trasferire ai clienti gli aumenti nei costi e in generale alla generazione di flussi di cassa, rispetto a prospettive più o meno incerte di capacità reddituale in un futuro più lontano. Considerazioni analoghe potrebbero essere valide anche per la parte meno liquida degli investimenti, con una preferenza per beni reali e materie prime, che tendono ad essere maggiormente agganciati all'inflazione, rispetto a quelle iniziative che hanno necessità di essere finanziate, come ad esempio le start-up, in quanto la liquidità nel sistema sarà inferiore rispetto al passato e il costo del debito superiore».
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