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Il 2024 si annuncia come l’anno di inversione sui tassi. Alcune banche italiane saranno più penalizzate di altre, specie quelle che non hanno fabbriche prodotto. Carlo De Vanna, Senior Fund Manager di Ersel Asset Management, ne parla a We Wealth.
Il 2024 si annuncia come l’anno dell’inversione di marcia sui tassi. Dopo un biennio di rialzi, le attese dei mercati ruotano intorno a forchetta tra 1,5 e 2 punti di tagli nell’arco dei prossimi 12 mesi. Una discesa graduale, che avrebbe un diverso impatto su banche, reti di consulenza e società di gestione del risparmio quotate, tra rumors di risiko e - per alcune - costi in crescita. Ma facciamo un passo indietro.
“Uno dei temi che lo scorso anno ha sollevato tante polemiche è stato il fatto che le banche si siano finanziate a tassi molto bassi mentre prestavano soldi a tassi crescenti. Quindi lo spread commerciale è decollato”, ricorda Carlo De Vanna, Senior Fund Manager di Ersel Asset Management.
“Il governo ha cercato di spingere gli istituti ad alzare i tassi, provando a imporre un’imposta sugli extraprofitti, per poi trasformarla in una misura volontaria lasciando loro la possibilità di scegliere se pagare quella tassa o accantonare quella somma; e tutti hanno deciso di accantonarla. Alla fine, possiamo dire che il 2023 è stato un anno d’oro per il settore”, dichiara il gestore. Il 2024, avverte De Vanna, si muoverà in direzione diametralmente opposta: questo perché la richiesta di prestiti sta rallentando, se non scendendo, i tassi che le banche pagano stanno salendo e lo spread commerciale sta calando.
L’incognita, dice De Vanna, riguarda un eventuale aumento degli accantonamenti, che potrebbe a sua volta costituire un’ulteriore aggravante. Il punto è: quali banche potrebbero essere più penalizzate da questo scenario? “Le banche che fanno soldi solo dai prestiti, che tendenzialmente sono le più piccole”, osserva l’esperto. “Altre hanno a volte più del 50% degli utili che deriva da commissioni, ovvero tutte quelle banche che hanno fabbriche prodotto, la propria società di gestione, la propria società di leasing, rete di private banking o assicurazione; per cui soffriranno molto meno. Addirittura, la riduzione dei tassi potrebbe portare nuovi afflussi al risparmio gestito e, quindi, potrebbero anche guadagnare di più quest’anno”, afferma De Vanna. [...]
Un altro trend da monitorare quest’anno sarà quello dell’M&A. “È evidente che il mercato bancario italiano non ha ancora raggiunto l’equilibrio, soprattutto se confrontato con tre dei principali mercati esteri: tedesco, francese e spagnolo”, osserva De Vanna. “Ci sono tanti costi che non possono essere compressi, specie per requisiti normativi, informatizzazione, cyber security. E le banche più piccole non possono più sostenerli. Credo si andrà verso tre banche grandi, due o tre medie e tante banche locali territoriali, come in tutti gli altri paesi. Con predatori e prede”, dice il gestore. [...]
Per le reti di consulenza italiane, interviene De Vanna, il driver resta ancora una volta quello dei tassi.
“Il risparmio gestito ha archiviato un anno di luci e ombre, perché era molto difficile proporre investimenti concorrenziali con i rendimenti dei titoli di Stato che hanno raggiunto i massimi degli ultimi anni. Quindi abbiamo visto o deflussi o una mancata crescita da parte di tutte le società più importanti che hanno perso masse verso il mondo obbligazionario in generale”, ricorda l’esperto. “Questa situazione si invertirà però con i tassi in discesa: i titoli di Stato saranno meno appetibili e le reti italiane avranno più facilità a collocare i propri prodotti. Quindi il 2024 si preannuncia un pochino più facile”.
Discorso simile per le società di gestione del risparmio. “I soldi raccolti dalle reti vanno a finire nelle SGR, quindi se le reti raccolgono, le SGR aggiungono masse”, dice De Vanna. “Aggiungerei però il tema dell’italianità del prodotto, nel senso che alla fine la vera eccellenza italiana è la grande massa di risparmio privato. E bisogna mantenere in mani italiane la gestione del risparmio italiano. Questo per dire che potrebbe esserci M&A anche all’interno del risparmio gestito”.
“C’è da stare lunghi sul settore”, dichiara De Vanna. “I più pessimisti dicono che il momentum di crescita degli utili è finito, le banche guadagneranno meno, però tratteranno anche multipli bassissimi e restano grandi pagatrici di dividendi. Le più grandi dovrebbero riconoscere il 13-14% agli investitori tra dividendo e buyback, mentre le più piccole intorno all’11%. Nel risparmio gestito beneficeranno tutte dei tassi in discesa, ma la preferenza sarà verso quelle reti che si sono dimostrate capaci negli anni di non perdere troppe masse quando le cose sono andate male e raccogliere tanto quando sono andate bene oltre che sulle eccellenze sul fronte tecnologico”, osserva De Vanna. [...]
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