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Dopo anni di stagnazione dei prezzi e tendenze parzialmente deflazionistiche, l’inflazione torna di colpo ad alzare la testa. Per le Banche centrali, questo improvviso andamento si sta trasformando in un nuovo grattacapo.

Uno scenario da decifrare

Focus

Economia da Covid-19

La pandemia ha stravolto il quadro macroeconomico globale e ha riportato al centro della scena una ripresa dei prezzi che è più decisa delle attese e che inaspettatamente rischia di trasformarsi in un freno per la ripresa globale.

Negli ultimi anni, la Banca Centrale Europea (Bce) e la Federal Reserve Americana (Fed) hanno cercato senza sosta di portare i prezzi al consumo vicino alla soglia del 2%, un livello che è considerato «ideale» per la salute dell’economia.

Nel bel mezzo degli sforzi per la tenuta dell’euro, e dei tanti interventi per riuscire a contrastare la crisi delle banche e per difendere l’economia, le istituzioni centrali non hanno mai perso di vista il proprio mandato della stabilità dei prezzi. Nonostante il grande impegno, l’inflazione è rimasta sempre al di sotto degli obiettivi: dalla crisi finanziaria globale in poi, il tasso è sempre stato in media dell’1,2% nella zona euro.

I livelli d’inflazione hanno raggiunto nuovi picchi durante l’estate: nella zona euro ad agosto il tasso ha toccato il 3%, il massimo degli ultimi 10 anni, mentre negli Stati Uniti è salito al 5,4%, livello che non si vedeva dal 2008. Il tema è sui radar degli operatori di Borsa che scrutano con attenzione ogni componente di questo indicatore. Rassicura il fatto che in agosto negli Stati Uniti il tasso sia rimasto pressoché stabile. Il dato fa pensare che il picco sia vicino e che presto questa spinta agli aumenti potrebbe rientrare.

L’ipotesi è che anche l’Europa possa seguire la stessa strada. Certo è che l’impennata improvvisa dei prezzi è sicuramente anomala e che è quasi del tutto legata alla crisi sanitaria dell’ultimo anno e mezzo. Dietro all’andamento di alcuni prezzi c’è, per esempio, la spinta che arriva dalla forte risalita del costo dell’energia, un livello che era crollato durante i lockdown e nel periodo in cui le fabbriche erano rimaste chiuse. Adesso, con il graduale ritorno alla normalità, anche la domanda mondiale di elettricità ha ripreso a correre e le quotazioni sono di nuovo in alto.

Ci sono poi altri elementi straordinari che favoriscono i rincari, come i problemi alle catene di approvvigionamento di tutto il mondo. Nel complesso si tratta per lo più di aspetti che indicano una fiammata passeggera delle quotazioni. Ci sono tuttavia anche componenti che sono legate ad alcuni spostamenti dei prezzi, per esempio quelle riferite alla spesa per le quote di emissione di CO2, che dovrebbero restare alte anche in futuro. Lo scenario rimane da decifrare. Anche perché alcuni fattori che hanno sempre attenuato la risalita dei prezzi al consumo, come la forte concorrenza internazionale e le materie prime a basso costo, da ora in poi potrebbero assumere un peso diverso.

In questo quadro le Banche centrali si mostrano fiduciose. Nelle previsioni prospettate dalla Fed, l’inflazione ritornerà verso quota 2% già nel corso del 2022. La presidente della Banca Centrale Europea, Christine Lagarde, ha detto di aspettarsi più stabilità nel corso dell’anno prossimo perché molti fattori che hanno provocato gli incrementi sono temporanei. Le stime dei tecnici dell’Eurotower sono di un tasso all’1,75% nel 2022 e all’1,5% nel 2023. Dello stesso tono anche la gran parte delle grandi case di analisi: gli esperti di S&P Global prevedono una decelerazione dell’inflazione al di sotto dell’obiettivo della Bce l’anno prossimo, sulla base di un’evoluzione contenuta dei salari e di un rallentamento della crescita. Il quadro di fiducia è condiviso da molti economisti ma non mancano le voci fuori dal coro.

A preoccupare è, in particolare, il rialzo a doppia cifra delle quotazioni di quasi tutte le materie prime nell’ultimo anno, a cominciare dal petrolio e dal gas naturale, per arrivare fino a molte derrate alimentari. L’andamento rischia di avere effetti su tutta la catena di approvvigionamento. La cautela rimane in primo piano. Nel caso di spinte persistenti dei prezzi al consumo, le Banche centrali si troverebbero a dover aggiustare la rotta della propria politica monetaria e magari a dover discutere un anticipo della riduzione degli stimoli. Si tratterebbe tuttavia di una mossa che rischierebbe di mettere un freno alla fragile ripresa economica in corso.

Dopo lo shock della pandemia, il ritorno alla normalità del dopo-Covid richiederà̀ ancora molto tempo. Per poter davvero tirare il fiato - nella speranza che davvero il virus si affievolisca - occorrerà pazientare ancora per diversi mesi. È facile che le Banche centrali sceglieranno di mantenere un atteggiamento accomodante sull’inflazione. In ogni caso staranno bene attente a dosare ogni ingrediente delle proprie politiche monetarie. Per non finire con il provocare mal di pancia inattesi ai mercati.

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