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La settimana non è stata povera di dati macro, con le statistiche sulla fiducia nel settore della piccola media impresa, la fiducia dei consumatori e le vendite al dettaglio.
Nel complesso i dati sono risultati un po’ meglio delle attese anche se non tutte le letture sono risultate univoche. Tuttavia l’evento che ha avuto l’impatto maggiore sui mercati è stata la decisione della FED di dare avvio al cosiddetto QE3, ovverosia una nuova ulteriore espansione del proprio bilancio per comprare titoli obbligazionari legati ai mutui immobiliari. Gli acquisti al momento avverranno ad un ritmo di 40 mld al mese senza uno specifico orizzonte temporale per la fine dell’operazione. Solo quando vi sarà un sostanziale miglioramento del mercato del lavoro la banca centrale cesserà di “stampare moneta” per compare titoli sul mercato aperto, ma se questo non dovesse avvenire è prevista la possibilità addirittura di aumentare l’entità degli acquisti mensili. La FED ha inoltre esteso l’indicazione di mantenere i tassi ufficiali a zero fino a metà 2015. Rispetto a questo punto Bernanke ha introdotto un’altra importante novità affermando che i tassi rimarranno bassi anche nel caso in cui l’economia dovesse riprendersi in modo da rassicurare gli investitori circa il sostegno della politica monetaria anche quando si manifesterà un’accelerazione nella ripresa. E qui sembra quasi che gli echi dei lavori presentati a Jackson Hole sulla necessità in questa fase di avere come target il PIL nominale più che la Taylor Rule per stabilire la condotta della politica monetaria si siano fatti sentire. L’altro obiettivo della mossa, più diretto è quello di portare sostegno al mercato immobiliare e quindi ai bilanci delle famiglie attraverso un minor costo dei mutui, nuovi o in rifinanziamento. La FED sembra credere molto in questo piano, dato che ha rivisto al rialzo le aspettative di crescita per i prossimi due anni in questo seguita da alcune primarie case di investimento. Da notare infine il ruolo di secondo piano giocato in tutta l’analisi della FED dall’inflazione. Infatti i primi due QE erano stati giustificati anche sulla base della necessità di dover evitare la deflazione, pericolo oggi non più presente.
Dal punto di vista strettamente macro in settimana non sono stati resi noti dati di particolare rilievo. In Italia abbiamo avuto notizie contrastanti: da un lato il PIL del secondo trimestre è stato rivisto al ribasso dal -0,7% trimestrale semplice al -0.8%, dall’altro l’ultima lettura sulla produzione industriale pur in contrazione è risultata al disopra delle attese. Questo significa che l’attività manifatturiera dovrebbe contrarsi ne terzo trimestre ad un ritmo inferiore rispetto a quanto vistosi nel secondo. Tuttavia la debolezza persiste nelle due componenti principali della domanda interna italiana, i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese. Questo vuole dire che anche nel terzo trimestre assisteremo ad una contrazione del PIL non molto lontana da quanto osservatosi nel secondo. A causa del brusco calo delle domande interne gli squilibri delle partite correnti nei paesi della periferia si stanno rapidamente riassorbendo (come mostra il grafico sopra riportato), questo vuole dire che almeno nei flussi la periferia è sempre meno dipendente dall’estero per finanziare la propria domanda interna...
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