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Sia negli Stati Uniti che in Europa gli eventi più importanti della settimana sono stati i comitati di politica monetaria delle diverse banche centrali. In generale l’atteggiamento delle banche centrali occidentali (FED, BCE e BoE) sembra quello di non aver remore ad agire qualora il contesto dovesse ulteriormente peggiorare.
Dal lato americano la FED non ha fornito indicazioni circa l’imminenza di uno stimolo aggiuntivo, pur ribadendo di essere pronta nella risposta qualora le circostanze lo richiedessero. Bernanke in maniera molto trasparente ha esposto qual è il contesto di incertezza entro il quale la banca centrale è chiamata a operare. La domanda chiave è se la crescita economica nel corso dei prossimi mesi sarà sufficiente a generare progressi nel mercato del lavoro oppure no. Solo in quest’ultimo caso l’istituto di emissione procederebbe con lo strumento non convenzionale dell’acquisto di nuovi asset. Al momento la FED rimane ancora possibilista circa lo scenario più benigno assumendo di conseguenza un atteggiamento attendista. Riguardo a questo proposito nell’ultima audizione Bernanke non ha menzionato la possibilità di un rischio deflattivo, fattore usato in passato per giustificare le precedenti espansioni di bilancio. Tuttavia l’atteggiamento sembra orientato a considerare come determinanti i dati di prossima pubblicazione, in particolar modo quelli relativi al mercato del lavoro, e decidere in maniera appropriata sulla base delle nuove risultanze statistiche ottenute.
I dati disaggregati del PIL area euro del primo trimestre mostrano che l’economia continentale ha evitato una contrazione grazie alle esportazioni, che da sole hanno contributo positivamente dello 0,4%, contro una domanda interna in contrazione dello stesso ammontare. Dato che la domanda interna rimarrà depressa ancora per parecchi mesi in paesi come Italia e Spagna alle prese con una manovra di aggiustamento dei conti pubblici, mentre il rallentamento della congiuntura internazionale dovrebbe pesare sulle esportazioni europee, risulta corroborata l’aspettativa, già formata sulla base degli indicatori congiunturali, che nel secondo trimestre il PIL dell’area euro farà registrare una nuova contrazione. In questo momento gli unici due elementi positivi per l’area euro sembrano essere di natura esogena: il calo del prezzo del petrolio (-20% in euro dal picco di marzo) e l’indebolimento dell’euro (-7% da inizio anno in termini trade weighted). Il deterioramento del contesto congiunturale è stato fatto proprio dalla BCE, anche se questo non ha portato ad una riduzione del costo del denaro nel meeting tenutosi questa settimana, mentre le aste di rifinanziamento a quantità illimitata sono state prorogate per altri sei mesi. Come la FED anche la BCE rimane in una posizione di attesa, anche se le parole di Draghi sono state recepite dai mercati come possibiliste circa nuove misure di stimolo convenzionale e non. Infatti dal lato crescita i mercati essendo più pessimisti della BCE pensano che sarà questa a ricredersi sullo scenario e quindi far venir meno uno degli elementi che ne hanno inibito l’azione questa settimana. L’altro elemento citato è quello del canale di trasmissione della politica monetaria. Con mercati finanziari non operanti correttamente come quelli odierni non è affatto scontato che una riduzione dei tassi si trasmetta sui mercati e sulle scadenze temporali che più risentono dell’attuale fase di stress. Di qui la possibilità che la BCE possa bypassare gli strumenti convenzionali (riduzione dei tassi) per fare ricorso alle misure non convenzionali come gli acquisti sul mercato aperto (SMP) e/o operazione di rifinanziamento di lungo termine (LTRO), anche se entrambe le opzioni non sono state per nulla anticipate nello statement di mercoledì.
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