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Noti da sempre per la loro prudenza e, soprattutto, per essere il punto di riferimento di molti buoni patrimoni torinesi, i Giubergia, il padre Renzo, 83 anni, e il figlio Guido, 57, non nascondono di essere anch'essi alla finestra, in attesa di eventi: in sostanza, che dagli Stati Uniti arrivino parole rassicuranti sui tempi del promesso salvataggio di stato alle grandi istituzioni finanziarie in crisi. Capital ha intervistato Guido Giubergia, attuale ad di Ersel, la private bank della famiglia che gestisce 7 miliardi di euro. (...)
D. Qual è il suo consiglio in questo momento di accentuata turbolenza?
R. Stare fermi il più possibile, in attesa che torni un po' di fiducia sul mercato. Tutto dipende, comunque, dall'attitudine al rischio dell'investitore. Chi riesce a operare oggi, e a non toccare il capitale per tre anni, può fare grandi affari comperando titoli azionari che sono stati penalizzati ben al di là dei loro valori reali, scegliendo tra cementieri, infrastrutture e tecnologia. Però, a quel punto, l'atteggiamento non può essere di quello di chi tutti i giorni va a misurare se ha perso o guadagnato.
D. In questo caso consiglia un investimento diretto o uno in fondi?
R. I fondi sono lo strumento principe in tutto il mondo, tranne che in Italia, per investire nel mercato azionario. Solo qui sono considerati per poveretti: altro segno della scarsa cultura che regna nella gestione del risparmio, spesso alimentata, in modo interessato, dalle banche.
D. Quindi le obbligazioni continuano a fare la parte del leone...
R. Nel mix dei nostri investimenti rappresentano poco più del 50%: soprattutto titoli governativi e qualche corporate con un buon rating.
D. Qual è in una battuta il suo consiglio?
R. Diversificare il rischio, aspettare che si chiarisca la situazione internazionale e soprattutto niente panico. Vendere in questi frangenti è quanto di peggio si possa fare.
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