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Il settore della gestione degli investimenti sta vivendo una fase di profondi cambiamenti. In un contesto di margini in calo e costi in salita, le società del comparto puntano sempre di più sul consolidamento.
Ersel, storica realtà nata nel 1936, è stata tra le prime a muoversi in questa direzione e due anni fa ha rilevato la maggioranza di Banca Albertini. La mossa le ha permesso di accrescere la propria posizione sul mercato e di diventare un primario gruppo indipendente di Private Banking in Italia con 18 miliardi di euro di asset in gestione. Adesso Ersel rilancia sulla crescita e punta su nuove strategie di sviluppo. Il nuovo percorso è accompagnato da un importante cambio ai vertici: Andrea Rotti, 48enne torinese, da 20 anni nel Gruppo, è stato nominato nuovo amministratore delegato. Prenderà il posto di Guido Giubergia, carismatico timoniere della banca torinese, che manterrà l'attuale carica di presidente. A spiegare i motivi di questo passaggio e i piani per il futuro è lo stesso Guido Giubergia. «Questa scelta è nel pieno segno della continuità e non rappresenterà una rivoluzione - spiega -. Abbiamo soltanto voluto mettere un punto fermo dopo anni di crescita, e lo abbiamo fatto con un normale avvicendamento generazionale».
Ersel è una realtà familiare storica, arrivata alla quarta generazione in azienda. Come mai la decisione è caduta su un manager del Gruppo e non nella cerchia degli eredi?
«Non è sempre vero che le redini debbano passare agli eredi, specie se al comando c'è un manager motivato e con esperienza. Su questo la famiglia è concorde. E poi si tratta di una scelta interna, di una figura che da molti anni fa parte della nostra squadra, un team che da sempre lavora insieme in maniera affiatata. La famiglia resterà comunque alla guida del gruppo».
A che punto è l'integrazione con Banca Albertini?
«Le funzioni operative sono già pienamente unificate, in anticipo rispetto alla ultimazione del sistema informatico condiviso. Le nostre ambizioni in questo campo richiedono tempi di realizzazione che portano il completamento dell'operazione al prossimo anno. E' l'ultima fase di un processo di crescita del gruppo che ha visto l'avvio del servizio di finanziamento conto garantito, il rafforzamento della sede lussemburghese, l'implementazione dei servizi di Family office all'interno delle nostre società fiduciarie, che hanno registrato un incremento delle masse gestite a 6,6 miliardi e ci collocano ai primi posti nella classifica degli operatori indipendenti privati in questo comparto».
Quali nuovi piani di crescita avete per il futuro?
«Guarderemo ancora alla qualità dei servizi e dei prodotti offerti. Siamo sempre stati un punto di riferimento per i nostri clienti, con la certezza di un servizio autorevole, trasparente e personalizzato. Questo è un aspetto che è sempre stato apprezzato. In particolare dalla fascia alta della clientela che cerca servizi professionali come i credit trust o l'attività fiduciaria. In questo ambito stiamo acquisendo nuova clientela dopo l'unione con Banca Albertini».
Avete altre acquisizioni in vista?
«No. L'operazione con Banca Albertini ha completato in ogni aspetto l'offerta del nostro Gruppo, che spazia dalla consulenza, ai fondi, alle gestioni fiduciarie. Ci fermiamo qui, anche se non escludiamo per il futuro nuove operazioni».
Qual è la valutazione sull'industria del risparmio gestito, negli ultimi anni in sofferenza.
«Sul settore pesa molto la nuova regolamentazione che comporta costi sempre più alti, così come la necessità di continui investimenti. In più, la concorrenza è stata accelerata dal successo degli Etf, i fondi quotati a commissioni basse. In questo scenario, i grandi player del mercato riescono a ottenere facilmente economie di scala mentre i piccoli faticano e rischiano di estinguersi. Noi siamo dei player medio-grandi. Per tenere testa alle grandi realtà del settore punteremo sempre di più su prodotti alternativi, difficili da donare».
Ci sono nuovi prodotti o servizi che pensate di lanciare anche in considerazione dell'avanzata del Fintech?
«L'offerta tradizionale non è più sufficiente, soprattutto se si guarda alla clientela di fascia alta. Servono quindi idee nuove. Alternative al mercato e di qualità. Occorre riuscire a creare qualche cosa di differente che sia di qualità e non riproducibile. Noi ci siamo riusciti con Hedgersel, primo hedge fund diretto, istituito nel 2003. Da allora ha reso in media il 3-4% annuo. Adesso stiamo lavorando a nuovi strumenti, per esempio a un fondo di fondi di private equity e stiamo mettendo a punto strategie di private market con investimenti diretti nelle aziende non quotate».
Su che cosa dovrebbe puntare il nuovo Governo per riuscire a dare maggior energia al settore e al risparmio degli italiani?
«Il comparto è gravato da una tassazione elevata sui realizzi, pari al 26%. Per dare più energia all'industria occorrerebbe differenziare l'aliquota sulla base della durata della detenzione dello strumento in portafoglio. Chi, per esempio, rimane investito in un fondo per più di cinque anni dovrebbe pagare imposte più basse, un po' come succede adesso con i Pir, i Piani individuali di risparmio, che prevedono un azzeramento della tassazione sui cinque anni. E' un meccanismo che darebbe più stabilità alle aziende e all'industria».
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