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La sbornia dei 209 miliardi europei destinati all’Italia lascia spazio al loro utilizzo razionale e alla consapevolezza che le risorse saranno spalmate in un quinquennio, sulla base dei piani di utilizzo presentati. A beneficiare del recovery fund saranno soprattutto tre categorie di azioni: energia, telecom e infrastrutture.
Delle risorse del Recovery Fund, all’Italia andranno 127 miliardi di euro in prestito e 82 a fondo perduto: 209 miliardi. Non arriveranno tutti insieme, ma spalmati fra il 2021 e il 2026, sulla base di piani di spesa ben precisi e sullo stato di avanzamento dei lavori. Una vera sfida per l’Italia, che non ha mai mostrato di essere veloce ed efficiente nella spesa dei fondi europei, spesso tornati al mittente per mancato utilizzo. Le direttrici di investimento che beneficeranno maggiormente di queste risorse sono tre: infrastrutture, transizione energetica, telecomunicazioni.
Carlo De Vanna, senior fund manager di Ersel Asset Management: “Per infrastrutture si intendono ferrovie (alta velocità), autostrade, viadotti, ospedali, scuole. Tutto quel patrimonio che, una volta costruito deve durare 50 anni almeno”. Per quanto riguarda la transizione energetica invece si intendono “sia la decarbonizzazione – quindi il green – che il risparmio per produrre energia. Si favoriranno le rinnovabili per spegnere pian piano le centrali energetiche tradizionali, che in alcuni Paesi prevedono ancora il carbone”.
Recovery fund, le ricadute positive sulle azioni
Gli investimenti nelle telecomunicazioni andranno invece sia sul mobile che sulla rete fissa. Al momento non si sa ancora come saranno allocati i fondi sulle tre tipologie di investimento, ma di sicuro “l’emergenza prima è quella delle infrastrutture”, prosegue De Vanna. Vi sono investimenti che se non completati valgono zero: si pensi alla strozzatura del numero di corsie su un’autostrada”. Ciò che conta non è tanto il tasso di interesse cui si prendono in prestito questi soldi (0,2% o 0,3% cambia poco) ma la remuneratività dei nuovi investimenti. Per questo è fondamentale che siano “stabilite delle regole che rendano visibile il ritorno degli investimenti, che devono essere economicamente convenienti e sostenibili, in grado di stare in piedi da soli”.
Se invece non si vuole inserire un nuovo quadro regolamentare, hanno senso i sussidi, puntualizza l’esperto, adducendo l’esempio dell’Ilva e delle aziende chimiche di vecchio stampo rimaste ancora in piedi in Europa.
Tagliare le emissioni del 50%, come previsto dal Green deal europeo per il 2050, comporta necessariamente l’erogazione di sostegno a fondo perduto: “Si pensi per esempio ai rimborsi fiscali del 110% sulle spese di efficientamento energetico delle abitazioni private”. È fondamentale però intervenire sul mondo delle regole, prima che su quello degli incentivi a pioggia. Il privato, se deve investire, vuole norme chiare: “deve essere in grado di calcolare il rendimento del suo potenziale investimento, se gli conviene o meno. In Italia i soldi non mancano, ce ne sono moltissimi. E non parlo solo del risparmio privato”.
Infine, per De Vanna non si può prescindere dalla sussidiarietà. Un altro esempio: “Gli investimenti per la banda larga sono più convenienti nelle grandi città come Roma o Milano che nei piccoli e medi centri di provincia”. Per questo motivo, nel nome del progresso tecnologico di tutto il Paese, ha avuto senso “far pagare il servizio un po’ di più di quanto dovuto agli abitanti dei grandi centri e un po’ meno a quelli delle zone periferiche”.
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