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Il combinato disposto di nuova evidenza statistica e flusso di notizie inerenti la dinamica della stretta fiscale sta modificando le aspettative di consenso circa il profilo di crescita dell’economia USA.
Stati Uniti
Come già anticipato la scorsa volta le revisioni al livello medio di crescita atteso per il 2013 stanno riguardando il gruppo degli ottimisti che ipotizzavano numeri significativamente al di sopra del 2% piuttosto che quelli con aspettative tra il 2 e l’1,5%. Anche questi ultimi però, alla luce di quanto sopra, hanno modificato il profilo di crescita tra un trimestre e l’altro. A inizio anno l’ipotesi di consenso era quella di una debolezza dell’economia nella prima metà dell’anno dovuta alla stretta fiscale e un miglioramento nel secondo semestre. L’evidenza statistica fino ad ora disponibile mostra invece che il Q1 dovrebbe avere un tasso di crescita trimestrale annualizzato in area 2,5% e quindi l’avvio d’anno non sembra risentite del fiscal cliff. Gli effetti di quest’ultimo, secondo il consenso, si faranno sentire sul Q2 e sul Q3, man mano che i tagli alla spesa automatici (deciso lo scorso anno e non più modificati per mancanza di accordo tra le parti) entreranno in vigore. Quindi in sintesi la crescita americana per il 2013 sarà ancora modesta e in rallentamento rispetto al 2012 per via del fiscal cliff. Tuttavia il momentum con cui questa si appresta ad affrontare il “baratro fiscale” appare superiore a quanto precedentemente ipotizzato.
Area Euro
Per l’area euro l’unico dato degno di nota è stato quello relativo alla produzione industriale. A livello
aggregato il risultato al disotto delle attese di gennaio, deve essere messo in relazione con la revisione al rialzo di dicembre. Ne consegue che il livello provvisorio della produzione industriale in Q1 è in linea con quello fatto registrare in Q4, e quindi non più in contrazione. Il deleveraging all’interno dell’area euro: alcune evidenze.
1) Rispetto allo scenario ipotizzato dal Fondo Monetario Internazionale al metà 2012 il settore finanziario europeo ha effettuato una riduzione degli attivi complessivi superiore allo scenario centrale e in linea con quello negativo. Il calo degli asset nel semestre è stato di 1,6 trillioni, ovverosia del 5,7% dai
massimi e pari al 17% del PIL EMU.
2) La riduzione degli attivi è avvenuta soprattutto attraverso la vendita di attività non core o stop ai prestito fuori dall’area euro, mentre il calo nei prestiti all’economia interna è stato relativamente contenuto (8% degli 1,6 trillioni), e pari al -1% rispetto al livello di questi ultimi del maggio 2012.
Quindi in linea con lo scenario centrale FMI.
3) I dati più recenti della BCE ci dicono che la riduzione del credito interno sta ora accelerando, e questo è negativo dato che il credito bancario in Europa conta molto di più che negli USA.
4) Parallelamente a questo fenomeno cresce la disintermediazione bancaria. Dal 2008 i debiti in capo a soggetti non finanziari erogati dalle banche (MFI) sono calati di 214 mld (-4%). Nello stesso periodo l’emissione di debito degli stessi soggetti tramite securities è stata di 320 mld (con una crescita del 46%). Purtroppo però solo le grandi aziende possono passare attraverso il mercato dei capitali mentre le piccole si confrontano ancora con il canale bancario.
I mercati finanziari non possono crescere all'infinito. Partendo da questo assunto, bisogna constatare però che le Borse continuano a salire, toccando valori quest'anno che «sembravano irraggiungibili», di fronte alle incertezze globali, alle tensioni geopolitiche e, più di recente, alle elezioni americane. Questo mostra, ora più che mai, «uno scollamento» con la realtà. Ne parla Guido Giubergia, Presidente di Ersel, a Il Sole 24ORE.
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