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Parla Andrea Rotti, amministratore delegato del Gruppo Ersel:"Il panorama si è ridotto, ma chi non sposa il modello delle reti o della banca universale può attrarre professionisti". LE SFIDE PER IL PRIVATE BANKING ITALIANO
Rotti (Ersel): il panorama degli operatori indipendenti si è ridotto, ma c’è spazio.
Anche l’industria italiana del private banking deve affrontare la triplice sfida individuata dai consulenti di McKinsey, ovvero la pressione, accentuata dalla pandemia, su ricavi e utili, una maggiore domanda di servizi digitali da parte della clientela e il passaggio al lavoro a distanza?
“In termini generali sono sfide valide anche per il mercato italiano”, è l’opinione di Andrea Rotti, amministratore delegato di Gruppo Ersel. “Le pressioni sui margini derivano da un trend di lungo periodo, mentre è forse più difficile dire se il Covid di per sé è un fattore altrettanto netto.
Certo la riduzione dei rendimenti sulle obbligazioni si è ulteriormente acuita e questo di per sé porta ad una attenzione sui costi da parte della clientela, ma è pur vero che di pari passo cresce l’esigenza di servizi pesonalizzati, di una maggior attenzione ai bisogni del cliente, cosa che riqualifica il ruolo dell’intermediario specializzato.
Questa è la sfida di Ersel, boutique ad “intensità di contatto elevata” (“high touch”) con la propria clientela che deve saper offrire una piattaforma di servizio integrata per assecondare le esigenze di gestione del patrimonio, principalmente di famiglie HNWI, ad alta complessità”.
E per quanto riguarda la sfida della digitalizzazione?
“I servizi digitali sono una realtà affermata nel panorama del servizio bancario non solo commerciale, ma anche del private banking con trend inequivocabile; qui sì che la pandemia ha messo in evidenza la necessità di continuare a investire su soluzioni tecnologiche. Andiamo infatti verso una maggior informatizzazione di molte delle attività del private banking, sia per quanto attiene alle attività di back end e amministrative ma anche per quelle di front end, laddove la fase consulenziale sarà sempre più assistita da interazione digitale con il cliente. Anche la normativa Mifid, con i sempre maggiori scambi informativi tra intermediario e clientela, spinge in questa direzione”.
C’è un problema di dimensioni che può influenzare la capacità di ridurre i costi, di investire in tecnologia e di offrire un’adeguata gamma di soluzioni e competenze?
“Sì, siamo assolutamente convinti che se si vuole reggere la sfida competitiva si debba avere una dimensione minima ottimale che indicativamente può essere posta nell’ordine dei 10 miliardi di euro. Come operatore di boutique a carattere indipendente abbiamo la strategia di voler creare una piattaforma di servizi integrati, lo facciamo con una dimensione da più di 18 miliardi di euro che ci consente di essere competitivi e credibili nell’affrontare le sfide poste dalle varie attività, sia in termini di costi fissi che di capacità di attrarre risorse qualificate, negli ultimi 12 mesi abbiamo reclutato di 12 professionisti. Anche nel futuro proseguiremo con lo stesso passo e non escludiamo ulteriori acquisizioni, ponendoci come consolidatore del mercato delle boutique. Abbiamo parimenti rafforzato le competenze, indispensabili per competere in una industria iperqualificata, nei team dei servizi di family office, del wealth planning e con l’inserimento di due team di gestione specializzati di equity tecnologico e bond corporate e high yield. In Italia il panorama degli operatori indipendenti si è ridotto, ma questo non vuol dire che non esista uno spazio distintivo proprio per chi, con le giuste dimensioni, possa attrarre da un lato una clientela che ricerca soluzioni dedicate e dall’altro professionisti e competenze che non sposino il modello delle reti o della banca universale”.
Per finire, quali sono le vostre scelte di investimento?
“I mercati finanziari sono ormai caratterizzati da una strutturale moria di rendimenti sulle parti obbligazionarie cosa che da tempo rende meno agevole un’attività di asset allocation tradizionale. In ambito azionario, dopo la lunga cavalcata di alcuni mercati e settori, puntiamo su soluzioni più attente alla ricerca di valore o proprio su una maggior selettività nell’ambito degli investimenti innovativi ed Esg. Su questo fronte stiamo lanciando un nuovo veicolo di investimento, gestito da un team interno che si è appositamente unito al gruppo su questo progetto, specializzato proprio nell’analisi non solo finanziaria, ma anche industriale di alcuni comparti rilevanti della tecnologia.
In ambito obbligazionario, la sfida più difficile, guardiamo con crescente interesse alla parte più solida del mondo emergente e più segnatamente ai titoli governativi cinesi.
Nei paesi sviluppati cerchiamo con selettività qualche opportunità nei subordinati bancari da affiancare ai corporate investment grade. Sui subordinati in particolare gestiamo con un team interno una strategia che raccoglie crescente interesse istituzionale.
Da ultimo sul fronte degli investimenti sui mercati privati abbiamo sposato una strategia in partnership che ci ha visto lanciare oltre a un Eltif sul debito, una soluzione di private equity in collaborazione con Fondaco che consente attraverso uno strumento diversificato di cogliere opportunità internazionali su aziende sia in fase di crescita che più consolidate”.
I co‐responsabili Strategie Event Driven Ersel, Giorgio Nicola e Riccardo Costa, parlano di mercati azionari, investimenti e tassi di interesse a La Stampa.
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