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Con il suo leggendario “Whatever it takes”, Mario Draghi è considerato il salvatore dell'euro. La promessa dell'allora Presidente della Banca Centrale Europea di fare tutto il necessario per preservare la moneta unica ha segnato la svolta nella crisi del debito europeo nel 2012.
Adesso l’Europa si trova di nuovo in un momento cruciale e necessita di cambiamenti profondi per poter restare competitiva nella complessa fase della transizione energetica e digitale globale. L’obiettivo però è anche quello di guardare a una difesa europea in un contesto che, dopo l’aggressione russa all’Ucraina, è cambiato e sta mettendo in evidenza le vulnerabilità del Vecchio Continente.
Nello scenario attuale servono nuovi passi e le decisioni dovranno arrivare in tempi brevi. A spronare l’Unione in questa direzione c’è Mario Draghi che con la sua autorità sta esortando gli europei a nuove strategie per il futuro. A fine febbraio, all'Ecofin di Gand, a cui era stato invitato in prospettiva del suo atteso rapporto sulla competitività della Ue che presenterà dopo le elezioni europee, Draghi ha avvertito che l'Europa ha bisogno di 500 miliardi di euro all'anno per riuscire a tenere il passo con Usa e Cina nella doppia transizione in corso.
Lo sforzo richiesto è enorme, ma il mondo è cambiato e anche il Vecchio Continente deve cambiare se non vuole soccombere: «l'ordine economico globale in cui l'Europa ha prosperato è scosso (dipendendo dall'energia russa, dalle esportazioni cinesi e dalla difesa statunitense). Questi tre pilastri sono meno solidi di prima» ha detto Draghi. Per questa ragione c’è bisogno di nuove scelte, insieme a un cambio di paradigma: un terzo dei 500 miliardi dovrà provenire da fondi pubblici, il resto da fonti private che dovranno essere mobilitate in misura molto più ampia rispetto al passato.
Occorre agire in fretta, anche per non farsi trovare impreparati di fronte a eventuali nuove emergenze. Su questo punto Draghi è stato chiaro: pochi giorni dopo l’Ecofin di Gand, l’ex Presidente della Bce, ex Presidente del Consiglio e oggi consulente della Commissione europea, ha nuovamente sferzato l’Unione.
Negli stessi giorni, sulla copertina dell’autorevole settimanale britannico The Economist compariva la domanda: «L’Europa è pronta?». Ad accompagnare l’interrogativo c’era l’immagine di una Ue stretta tra un Vladimir Putin aggressivo e un Donald Trump, candidato alla Casa Bianca, voltato di spalle ad indicare l’annunciato disimpegno militare Usa. La partita si preannuncia non priva di difficoltà.
La convinzione di base di Draghi è che le sfide che attendono il Vecchio Continente sono talmente grandi da non poter essere affrontate a livello nazionale. Al contrario, richiedono “un’azione coraggiosa” e la capacità di mobilitare ingenti investimenti, anche privati, nonché programmi di spesa congiunti nella prospettiva della Ue della prossima generazione. L'alternativa sarebbe il declino dell'Ue e l'aumento del divario con gli Stati Uniti.
Non tutti i Paesi europei si mostreranno però d'accordo sulle nuove scelte per l’Europa. L’area dei “frugali” è già sulla difensiva e teme nuovo debito, un tema tossico soprattutto nell’attuale dibattito interno alla Germania. Riemergono così le divisioni tra i 27 membri dell’Unione. Eppure la visione di Draghi è rivolta alla costruzione di uno Stato europeo che abbia gli strumenti per rispondere compatto alle crisi future.
La realizzazione della nuova Europa non sarà semplice. Tuttavia con la sua credibilità, Draghi farà di tutto per convincere l'Unione Europea a intraprendere una nuova strada che possa garantirle un futuro di prosperità, al di là di egoismi e nazionalismi. L'obiettivo di Draghi non è solo quello di trasformare il Vecchio Continente in un atleta più agile e competitivo, ma di plasmarlo in un'unica e robusta realtà, pronta a fronteggiare le molteplici tempeste che si stagliano all'orizzonte.
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