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Negli ultimi anni, l’Europa si è trovata sempre più stretta nella morsa di Stati Uniti e Cina, due giganti economici intenti a sfidarsi nella corsa alla supremazia economica mondiale.
Una delle leve utilizzate in questa aspra battaglia è stata quella dei dazi commerciali, armi messe in campo per ridisegnare il commercio globale a proprio favore: i venti del protezionismo hanno soffiato da Ovest mentre il Dragone cinese ha, a più riprese, continuato ad avanzare da Est. In questo contesto, un nuovo capitolo è arrivato con la recente decisione della Commissione europea di applicare sulle auto elettriche importate dalla Cina dazi aggiuntivi fino al 38,1% già da luglio.
La mossa europea non ha lasciato indifferente Pechino che in un primo momento ha risposto con la minaccia di ritorsioni. Successivamente le autorità cinesi hanno però scelto di percorrere la via del dialogo con l’Europa che è il principale partner commerciale del Paese asiatico. È ancora presto per capire che direzione prenderà davvero questo nuovo percorso.
Di sicuro sarà un sentiero lungo e ci vorrà del tempo per vedere un risultato. Certo è che la contesa riporta in primo piano i problemi creati dal modello economico cinese: le aziende europee si trovano spesso in difficoltà nel rivaleggiare con i colossi del Dragone che godono di generosi sussidi statali e di un accesso privilegiato ai mercati di casa. In questo contesto, le auto verdi sono diventate un nuovo terreno di scontro.
Su questo fronte la leadership cinese ha respinto ogni tipo di critica al proprio modello economico. All’opposto, alcune case automobilistiche cinesi si sono invece dimostrate collaborative. Questo è avvenuto durante l'indagine della Ue sulle e-car. Lo Stato cinese ha invece bloccato qualsiasi forma di cooperazione. La recente decisione del governo cinese di negoziare è quindi un primo importante punto di svolta che potrebbe preannunciare sviluppi positivi.
Occorrerà capire però se davvero le due aree riusciranno ad arrivare ad una intesa duratura.
Di sicuro, i dazi europei stanno riportando l’attenzione sull’aspra guerra commerciale globale, inaugurata negli Usa da Trump e intensificata successivamente da Biden. Qualche mese prima della decisione europea, gli Stati Uniti avevano varato una misura analoga quadruplicando le tariffe sulle auto elettrice cinesi e portandole al 100%. Nel passato però Washington ha rivolto la sua attenzione anche all’Europa colpendo con i dazi settori strategici come l’acciaio e l’alluminio. In questo senso, la retorica americana sembra chiara: il tempo del “free riding” è finito, e adesso gli alleati devono fare la propria parte.
Questo significa che l’Europa non può più contare sul vecchio equilibrio post-bellico, in cui la potenza economica americana garantiva una sorta di ombrello protettivo. Ora, gli europei devono fare i conti con un partner che è al tempo stesso alleato militare e concorrente commerciale.
In questo scenario, l’Europa si trova a dover navigare tra Scilla e Cariddi. La scelta non è semplice: una alleanza troppo forte con gli Stati Uniti potrebbe significare accettare un ruolo subalterno e perdere l’autonomia strategica. Ma aprirsi eccessivamente alla Cina rischia di esporre il continente a una dipendenza economica e tecnologica che con il tempo potrebbe diventare insostenibile. La soluzione ideale sarebbe quella di trovare un equilibrio, una terza via che permetta all’Europa di rafforzare la propria competitività senza rinunciare ai propri valori e interessi.
Come? Le ipotesi sul tavolo sono tante. Una possibile strategia potrebbe essere quella di rafforzare il mercato interno, investendo in ricerca e innovazione per ridurre il gap tecnologico con gli Stati Uniti e la Cina. Non solo. Bruxelles potrebbe lavorare per creare nuove alleanze commerciali con altre regioni del mondo, per esempio l’India. Certo è che l’Europa deve continuare a promuovere un commercio basato su regole condivise, opponendosi a pratiche sleali e protezionistiche.
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