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Sempre più veloce, sempre più in alto. Per decenni la Cina ha spinto con forza sull’acceleratore di una crescita economica boom, un traguardo da raggiungere a ogni costo e senza guardare ai sacrifici.
Adesso questa corsa sta mostrando i propri limiti e Pechino si trova a dover gestire il prezzo di strategie troppo sfrenate. A preoccupare è sicuramente lo sviluppo incontrollato di alcune realtà strategiche del Paese. E’ il caso di Evergrande, il colosso dell’immobiliare simbolo della crescita cinese, che è schiacciato da un debito monstre di 309 miliardi di dollari. Il rischio è che il gruppo non riesca a onorare i suoi impegni con il mercato e che trascini nella crisi altre società del comparto. Evergrande è soltanto un tassello di un mosaico ben più ampio e complesso. Sullo sfondo della crisi immobiliare c’è un problema maggiore: in Cina le differenze sociali stanno aumentando e il caso Evergrande potrebbe ampliare ulteriormente il divario tra ricchi e poveri.
La preoccupazione è grande. Per questo il Dragone sta via via iniziando a guardare a un cambiamento di rotta. In primo piano c’è sicuramente la lotta contro le forti disuguaglianze che ci sono nel Paese. E l’interesse non è più sulla crescita a tutti i costi ma si sta via via spostando verso uno sviluppo controllato. I numeri già guardano in questa direzione: nel periodo lugliosettembre l’economia cinese è cresciuta del 4,9% e ha mostrato un forte rallentamento dal +7,9% del secondo trimestre. Il dato è risultato ampiamente sotto le attese degli analisti (+5,2%). Su base congiunturale, la crescita è stata dello 0,2%, appena. La frenata, notano molti operatori, è stata provocata in gran parte dal tentativo di Pechino di ridurre i rischi finanziari rallentando il ritmo dei prestiti al settore immobiliare (circa il 30% del Pil del Paese).
A incidere è stata anche la crisi energetica con le fabbriche costrette a fermare la produzione a causa dei tanti black out. A questi problemi si sono sommate le tensioni per i nuovi focolai di contagi legati alla variante Delta. Il risultato è stato una decelerazione della seconda economia più grande al mondo.
La crescita della Cina «si è leggermente stabilizzata» ha detto il leader cinese Xi Jinping. La maggior parte degli economisti tuttavia pensa che lo sviluppo cinese rallenterà ulteriormente negli ultimi tre mesi dell’anno. Bank of America ha stimato un modesto +2,5% da ottobre a dicembre. L’obiettivo delle autorità di Pechino rimane invece ambizioso e per fine anno vede un incremento del Pil dell’8%, sopra le stime precedenti che erano al 6%. Nonostante le prospettive, la Cina post-Covid sembra non essere più quella di prima. A contribuire alla svolta è stata proprio la pandemia. Il Coronavirus è stato un enorme stress test per l’economia asiatica. Da questa prova il Dragone è uscito rinforzato: ha retto alla straordinaria onda d’urto del virus ed è riuscito a crescere anche durante i mesi più difficili. Questa tenuta ha incoraggiato il governo a un cambio di passo.
Il gigante Evergrande si trova proprio in mezzo al fuoco incrociato di questa nuova traiettoria. Non è ancora chiaro se Pechino deciderà il salvataggio. A detta degli osservatori, le autorità cinesi cercheranno in tutti i modi di preservare la stabilità finanziaria del Paese e faranno ogni sforzo per proteggere i privati che hanno acquistato casa tramite questa società o che hanno investito nelle sue azioni e obbligazioni. Gli operatori guardano con preoccupazione alla vicenda ma sembrano fiduciosi. Lodimostra l’andamento dei Cds, le assicurazioni sul credito delle banche cinesi e di quelle Usa. I loro valori non si sono mossi gran che in quest’ultimo periodo. Così come è rimasto pressoché stabile anche il renminbi, la valuta cinese. Allo stesso tempo le principali piazze finanziarie di Usa ed Europa hanno continuato a veleggiare verso nuovi record storici spinte soprattutto dai buoni risultati arrivati dagli utili societari occidentali.
L’ipotesi degli osservatori è che in futuro la mano del governo cinese si farà sentire di più sull’economia. Non è una novità. Di recente altri settori hanno sperimentato l’intervento di Pechino, in particolare le aziende tecnologiche. Per fare un esempio, nei mesi scorsi il governo cinese ha pesantemente regolamentato il mercato delle lezioni e delle ripetizioni online. Le nuove disposizioni hanno proibito di fare profitti a questo tipo di società che in più non si potranno quotare in Borsa. In questo modo è improvvisamente stato azzerato un settore che valeva circa 120 miliardi di dollari. Le quotazioni delle realtà leader di settore come Tal Education sono crollate in Borsa.
Un altro caso che ha fatto molto discutere è quello di Ant-Group, società del gruppo Alibaba. Il suo maxi-sbarco sui mercati da 30 miliardi di dollari è stato stoppato dalle autorità dopo che Jack Ma, fondatore di Alibaba e il più noto imprenditore della Cina, ha pubblicamente criticato il sistema finanziario cinese. Sono solo alcuni esempi ma tutti dimostrano che la Cina non ha paura di arginare i suoi grandi imprenditori né le sue aziende modello. Segno che la crescita sfrenata piace ancora ma comunque il controllo è meglio.
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