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Gli occhi degli operatori sono puntati sulle nuove prove che l’Europa si trova ad affrontare. La prova maggiore arriva direttamente dall'IRA, Inflation Reduction Act, programma lanciato dal Presidente Joe Biden.
Questa volta il guanto di sfida arriva dagli Stati Uniti: l’estate scorsa il Presidente americano Joe Biden ha lanciato l’Inflation Reduction Act (IRA), un maxi programma di sovvenzioni per il green da 370 miliardi di dollari che sta allarmando politici e investitori europei. Il piano, che dovrà contribuire anche a ridurre l’inflazione, ha innescato una vera e propria rivoluzione nel campo delle politiche ambientali ed energetiche del Paese. La cifra senza precedenti ha però le potenzialità di cambiare molte carte anche in Europa.
L’obiettivo dell’IRA è di ridurre le emissioni di CO2 degli Usa di circa il 40% già entro il 2030 (rispetto ai livelli del 2005). Per riuscire in questo intento il programma favorirà la transizione verde americana con benefici e sconti. Significa che le aziende Usa che investiranno in energia pulita pagheranno meno tasse. Allo stesso tempo, le auto elettriche e le batterie prodotte negli Stati Uniti saranno sussidiate dallo Stato. L’acquisto di un’auto verde “Made in Usa” con una batteria anch’essa prodotta negli Stati Uniti sarà sovvenzionato con circa 7.500 dollari. I sussidi andranno anche alle aziende che producono turbine eoliche o impianti solari con acciaio statunitense e arriveranno fino alle tecnologie emergenti a basse emissioni di carbonio come l’idrogeno.
La nuova legge Usa incarna trasformazioni significative nel campo degli sforzi a favore del clima. Inizialmente, il piano ha suscitato molto interesse a livello dell’Europa. Più passa il tempo però e più crescono le preoccupazioni tra i leader europei. Le voci critiche sostengono che la generosità dei sussidi Usa creerà un incentivo per le aziende a delocalizzare le proprie attività negli Stati Uniti. Il rischio è che l’industria verde del Continente possa perdere terreno. I primi segnali stanno già arrivando: negli ultimi mesi diverse grandi società Ue hanno annunciato di voler spostare parte delle proprie produzioni in area statunitense.
Allo stesso tempo diventa sempre più evidente che una risposta europea al programma statunitense sarà centrale per sostenere parte delle produzioni e il crescente settore della tecnologia verde dell’Europa. Una prima reazione europea è già arrivata ma mancano ancora molti tasselli. Un primo passo è stato fatto con il “Green Deal Industrial Plan”, una espansione del “Green Deal Plan”. Servirà a raggiungere la neutralità climatica al 2050. Concentrato su quattro pilastri principali (da semplificazioni normative, a finanziamenti facilmente accessibili, al rafforzamento delle competenze al potenziamento della cooperazione commerciale) questo programma dovrà permettere alle industrie europee coinvolte nella transizione energetica di reggere alla concorrenza delle rivali Usa.
Il confronto però è anche con la Cina, altro Paese che sovvenziona l’industria locale. La Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha dichiarato l’intenzione dell’Ue di essere all’avanguardia nella gestione del percorso verso l’azzeramento delle emissioni di gas serra. In ogni caso, il nuovo piano europeo non prevede nuovi finanziamenti ma attinge da 380 miliardi di doti economiche già stanziate nei precedenti fondi per la transizione ecologica e prevede un’estensione degli aiuti nazionali alle imprese europee attraverso crediti d’imposta e misure di supporto agli investimenti.
Gli occhi sono adesso puntati su un nuovo strumento, un fondo sovrano europeo destinato agli investimenti nelle tecnologie emergenti, che dovrebbe arrivare nei prossimi mesi. La sua definizione sarà cruciale. L’idea è che l’Europa si trovi di fronte a un bivio e dovrà adottare misure incisive per mantenere la propria posizione di leader nella transizione verso un’economia sostenibile. La corsa è alla nuova economia del futuro. Chi vince questa battaglia potrà ambire al ruolo di potenza economica nei prossimi decenni.
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