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La violenta fase di avversione al rischio di questi giorni è dovuta in primo luogo ad un sentiment fortemente negativo sulle prospettive di crescita mondiali, incentrato soprattutto sull’Europa ma presto propagatosi a tutte le altre macro aree, fino a lambire gli Stati Uniti.
In tale contesto, nella giornata di ieri, sono giunte indiscrezioni di vendite forzata da parte di uno o più fondi rilevanti, che hanno determinato livelli di volatilità inusuali su molte delle principali asset class. Ad elevare ulteriormente tali fluttuazioni ha contribuito anche il basso livello di asset detenuto in portafoglio dai market maker, che prima della crisi veniva utilizzato come cassa di compensazione per attutire le oscillazioni dei prezzi in giornate di elevate contrattazioni.
I fondamentali
USA
L’unico dato di rilievo della settimana sono state le vendite al dettaglio, che hanno deluso le attese ma che non sono certo tali da mutare il quadro di riferimento per l’economia USA. Altro elemento di rilievo le dichiarazioni del Presidente della FED di Sanit. Louis Bullard circa il fatto che la FED potrebbe prolungare almeno di un mese la data di termine del Q2 qualora la situazione sui mercati finanziari lo richiedesse. E’ possibile che la fine del QE e l’inizio del rialzo dei tassi possano essere soggetti a traslazioni in avanti stante l’incertezza sui mercati, appare meno probabile che nel corso del 2015 non si concretizzi un primo aumento del costo del denaro negli Stati Uniti.
I mercati finanziari non possono crescere all'infinito. Partendo da questo assunto, bisogna constatare però che le Borse continuano a salire, toccando valori quest'anno che «sembravano irraggiungibili», di fronte alle incertezze globali, alle tensioni geopolitiche e, più di recente, alle elezioni americane. Questo mostra, ora più che mai, «uno scollamento» con la realtà. Ne parla Guido Giubergia, Presidente di Ersel, a Il Sole 24ORE.
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