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Paola Giubergia, Responsabile Relazioni Esterne del Gruppo Ersel, è una degli stakeholder, "Piloti metropolitani", selezionati da Torino Magazine perchè capaci di avere il coraggio, le idee e la forza di portare Torino nel suo futuro migliore. Ecco l'intervista.
«Vorrei iniziare con una riflessione: Torino ha in mano un poker d’assi, delle carte che potrebbero farla diventare una città invidiata da tutti. La posizione geografica, il fatto di contare su un passato fatto di cultura, storia, beni culturali; il know-how legato all’automotive, allo spazio, all’intelligenza artificiale, senza contare la bellezza del territorio. Ciò che manca per fare il “passo” credo sia un’interazione efficace tra pubblico e privato. Si dice di continuo che “bisogna fare”, ma per costruire progetti e opportunità è necessario passare ad azioni concrete. Partiamo allora da sciogliere il nodo della burocrazia, dei lunghi iter di autorizzazioni; rafforziamo le relazioni tra gli enti e le persone, perché, come ben sappiamo, i rapporti sono fatti di persone. C’è poi il discorso legato al sociale. Anche qui trovo Torino particolarmente vivace tra fondazioni, comitati di quartiere, housing sociali a sostegno delle comunità più bisognose. L’obiettivo potrebbe essere quello di non spezzare la Città in tante iniziative separate, ma creare un coordinamento comune, così da riuscire a portare il patrimonio culturale anche a chi soffre di povertà educativa e creare sinergia tra enti, scuole, fondazioni, per elevare la povertà culturale che con la pandemia si è fatta sentire in maniera ancora superiore. Che emozione sarebbe poter invitare tutte le classi di Torino al Teatro Regio per farle assistere a una prova di spettacolo. Dobbiamo far vedere il bello alle generazioni del futuro, perché il bello fa star bene. Non c’è nulla da inventare, dobbiamo solo attivarci».
«I cittadini in primis, perché sono le persone stesse che dovrebbero desiderare il bene della città. Ritengo che un sano orgoglio cittadino rappresenterebbe nuova energia. Non potrò mai dimenticare come questo orgoglio si sprigionò in occasione delle Olimpiadi del 2006. Si era lavorato tanto in tal direzione, e con ottimi risultati. Ricordate gli Ambasciatori di Torino? Erano stati i cittadini stessi a farsi promotori del nostro patrimonio. Si è dimostrata una sinergia vincente, che andrebbe ripetuta per raggiungere obiettivi ambiziosi e duraturi nel tempo. Credo ci sia voglia di vivere e mostrare una città splendida, accogliente, pulita».
«Bisogna sfruttare le peculiarità e le eccellenze che Torino offre, giocando le carte che sappiamo essere vincenti. Concentriamoci quindi sull’industria, ad esempio, sul turismo, e condividiamo con il resto del mondo ciò che di bello abbiamo fatto. In questi mesi la città è stata letteralmente sommersa da innumerevoli iniziative dall’impronta internazionale. A cominciare dall’Eurovision, ma anche il Salone del Libro, il Festival dell’Economia, i convegni professionali. Torino è anche la location, proprio in questi giorni, per le riprese di un noto blockbuster americano. Senza poi dimenticare quel patrimonio che ci contraddistingue e che deve diventare la nostra bandiera: un museo di arte contemporanea che potrebbe diventare il numero uno in Italia per contenuti e dimensione, le Regge, il Museo Egizio (primo in Europa), quello del Cinema. E il Po: un peccato non sfruttarlo. Ci sono già delle “fette” di un mondo trainante: penso alle Gallerie d’Italia di recente inaugurate. Avremmo forse bisogno di un direttore d’orchestra che possa mettere insieme questo patrimonio, pubblico o privato che sia. E le istituzioni, in tal senso, potrebbero rappresentare quell’anello di congiunzione in grado di concretizzare questo progetto».
«Credo che Torino sia già una città attrattiva: si vive bene, offre una dimensione umana (a differenza di ciò che accade nelle metropoli), è ricca di verde. E, sebbene la qualità dell’aria non sia tra le prime d’Europa, abbiamo dalla nostra parte la fortuna di godere di uno spazio collinare lussureggiante e di avere un nucleo urbano che offre la possibilità di spostarsi lungo il fiume, a piedi o in bicicletta, da San Mauro a Moncalieri. Un punto su cui bisogna lavorare se parliamo di habitat inclusivo sono certamente le periferie, per le quali bisogna continuare a costruire progetti (come già si sta facendo) e proseguire il dialogo con i cittadini, spiegando loro cosa significa questa riqualificazione o rigenerazione urbana, quali sono i vantaggi che offre, in modo che siano consapevoli dell’uso che ne potranno fare. Se una città vuole essere inclusiva, oltre che attraente, deve operare anche sulle zone periferiche, come già stanno facendo le fondazioni e ha iniziato a fare la Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, di cui faccio parte, nonostante non sia la sua mission originale. Devo comunque dire che Torino è da sempre particolarmente sensibile a temi come il sociale e l’inclusività, e questo mi rende ancora una volta orgogliosa».
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