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«I mali della Cina non si fermano in Cina, ma si riverberano inesorabilmente nel resto dell’economia globale interconnessa» è la sintesi di quanto scritto di recente dall’Economist. L’autorevole settimanale britannico in una lunga analisi ha messo in luce le principali conseguenze globali del rallentamento della seconda economia al mondo.

Possibili contagi della crisi cinese

Focus

Una fase delicata

L'economia della Cina inizia a vacillare proprio nel momento in cui Pechino si sta sforzando di far emergere maggiormente il proprio peso sulla scena politica internazionale e gli effetti di un rallentamento metterebbero ancora più in difficoltà la sua politica.

In realtà non è la prima volta che la Cina riduce il passo, anzi. Negli ultimi decenni, l’economia del Paese ha subito ripetute battute d’arresto. Ogni volta i commentatori si sono subito precipitati a proclamare la fine del miracolo. Ogni volta però l’economia asiatica ha prontamente ripreso la sua rapida ascesa smentendo gli osservatori. Il timore è che questa volta le cose possano andare diversamente. L’idea di alcuni esperti è che la crisi attuale sia molto più profonda e che questa volta possa franare tutto quel modello economico con conseguenze anche per le economie globali.

Ma cosa sta succedendo? In queste ultime settimane le paure hanno interessato il settore immobiliare che si è scoperto essere estremamente indebitato. Il rischio più temuto è che l’onda dei guai immobiliari possa travolgere il sistema finanziario cinese e mettere sotto sopra l’economia asiatica. Nonostante le tensioni sul mattone siano profonde, molti analisti si dicono convinti che il Governo di Xi Jinping farà tutto il possibile per calmare le acque agitate.

In realtà ci sono altri aspetti che preoccupano molto di più di Evergrande, il gigante immobiliare in grave crisi. Sotto il faro degli operatori c’è il crollo dei consumi interni alla Cina, così come l’incremento della disoccupazione giovanile cinese e il calo demografico. Nel frattempo, l’introduzione delle barriere al commercio ad opera degli Stati Uniti, il partner economico che più di tutti ha reso possibile l’ascesa della Cina negli ultimi 50 anni, complica la vita alle industrie locali e contribuisce ad alimentare il nervosismo. Allo stesso tempo, proprio come succede nei Paesi industrializzati, la maggiore longevità sta portando una quota sempre più ampia di anziani a gravare su una quota sempre più ridotta di lavoratori. Sono cambiamenti che la Cina sperimenta per la prima volta e che rappresentano nuove minacce.

In questo contesto il dito è puntato soprattutto contro una politica economica che negli anni ha scommesso soprattutto sull’export anziché favorire i consumi interni. La crescita demografica è stata alla base del miracolo economico cinese grazie al continuo apporto di occupati al settore manifatturiero ad alta intensità di lavoro. Per la prima volta nella storia del Paese, la crescita demografica inizia a rallentare. E quest’anno la Cina ha dovuto cedere all’India lo scettro di Paese più popoloso al mondo, un passaggio epocale che avrà ricadute anche sull’economia. Secondo le previsioni del Fmi, nel 2024 l’India sarà la grande economia in più rapida ascesa con una stima di crescita del Pil del 6,3% rispetto al 4,5% del Dragone.

C’è poi un denominatore comune che ha riguardato il Paese negli ultimi anni ed è la crescente prosperità nel passaggio da realtà prevalentemente agricola a una delle maggiori potenze industriali al mondo. Questo progresso però non si è mosso di pari passo con il sistema politico che gli esperti speravano negli anni diventasse più aperto. Al contrario il regime di Xi Jinping si è mostrato autoritario e i cinesi hanno percepito il pugno duro soprattutto durante la pandemia. Questo punto rischia di smorzare il desiderio di spendere e di soffocare l’energia imprenditoriale di cui l’economia cinese ha a lungo beneficiato.

I problemi del Dragone sono tanti, la paura è di una crisi prolungata nel tempo: una Cina senza crescita sarebbe un problema che si sentirebbe dolorosamente in tutto il mondo e soprattutto in Europa. I primi effetti già si vedono: negli ultimi tre trimestri la Germania ha visto una contrazione delle sue attività, anche come conseguenza di una minor domanda dei suoi prodotti dalla Cina. È la dimostrazione tangibile che nell’odierno sistema globale interconnesso, i mali della Cina non sembrano destinati a restare solo in Cina.

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