Il mese di aprile è stato caratterizzato da dati di inflazione e crescita superiori alle attese e dichiarazioni sempre meno accomodanti da parte dei membri della Fed. I Nonfarm Payrolls di marzo hanno segnato una risalita del numero di nuovi occupati a 303.000, sopra i 270.000 del mese precedente, e oltre i 214.000 attesi dagli analisti. Il tasso di disoccupazione è leggermente sceso al 3.8%, in linea con le attese, rimanendo in prossimità dei minimi storici. L’indice dei prezzi al consumo anno su anno di marzo è uscito leggermente sopra le attese per la terza pubblicazione consecutiva con il dato headline a 3.5% e quello core a 3.8%. All’interno del dato core, mentre i prezzi dei beni sono tornati a calare, ha continuato a mancare una moderazione sulla componente servizi, in particolare su alloggi e trasporti. Anche le vendite al dettaglio hanno evidenziato una resilienza superiore alle attese dei consumi, in crescita dello 0.7% nel mese su mese. In linea con le attese la produzione industriale di marzo a +0.4%. Per quanto riguarda i sondaggi sulle prospettive economiche, abbiamo avuto un ISM manifatturiero che è tornato in territorio di neutralità a 50.3 da 47.8 con la componente prezzi pagati in risalita a 55.8. In moderazione per contro l’ISM sui servizi a 51.4 da 52.6 sotto le attese degli analisti. Piuttosto stabili invece i PMI di marzo poco sopra la neutralità sia sul manifatturiero sia sui servizi. Nel mese di aprile la Fed ha mantenuto dei toni sempre meno accomodanti portando ad una significativa revisione di probabilità ed entità di eventuali tagli dei tassi di policy. Dai quasi 7 tagli che erano prezzati a inizio gennaio per l’anno in corso, il mercato è tornato a prezzare poco più di un taglio e mezzo.
L’inflazione di marzo è uscita in lieve calo dai livelli del mese precedente e leggermente sotto le attese con il dato headline a 2.4% e il dato core a 2.9%. Gli indicatori anticipatori hanno continuato a segnalare un manifatturiero in contrazione, a 46.1, e una maggiore resilienza lato servizi, in territorio di neutralità a 51.5. I dati macroeconomici meno aggiornati hanno mostrato vendite al dettaglio in calo dello 0.5% mese su mese dal +0.1% di gennaio, mentre la produzione industriale è cresciuta dello 0.8% dal -3.2% del mese precedente. Il mercato del lavoro è rimasto sostanzialmente stabile, con un tasso di disoccupazione sui minimi storici, al 6.5%. Nel meeting di aprile la BCE ha ribadito un approccio data dependent dichiarando che a fronte di ulteriori conferme di un rientro dell’inflazione verso il target ridurrà la restrittività della politica monetaria indipendentemente da quanto deciderà la Fed. Il mercato prezza quasi 3 tagli per il 2024 con una probabilità superiore all’80% di osservare il primo taglio alla riunione di giugno.
Anche il mese scorso abbiamo avuto sorprese positive dai dati macro americani, con numeri superiori alle attese, specialmente quelli legati all’inflazione, ed è continuato il conseguente repricing della possibilità – anche per buona parte delle banche centrali dei Paesi EM – di tagliare i tassi con minore urgenza. L’inflazione si conferma altamente sincronizzata, con il picco che è stato raggiunto appena post-Covid nei mercati emergenti, guidato principalmente da forze macro comuni ai paesi sviluppati, piuttosto che da ragioni idiosincratiche.
Sebbene la Cina debba ancora affrontare sfide significative, non da ultimo il superamento di un tasso di inflazione che è diventato negativo, ne abbiamo rivalutato le prospettive di crescita (circa 4.4% per il 2024) sulla base dell’espansione fiscale che il governo cinese sta portando avanti. Il settore immobiliare residenziale rimane un'area chiave di preoccupazione per i responsabili politici e ciò potrebbe portare a ulteriori tagli dei tassi di interesse.
Salvo alcune eccezioni, come la Turchia, le banche centrali potrebbero continuare con il ciclo di riduzione dei tassi di riferimento. È probabile quindi che altre banche si uniscano a quella brasiliana per evitare che i tassi reali diventino troppo alti. Il continuo problema dell'inflazione in Turchia implica invece che potrebbe passare diverso tempo prima che la banca centrale sia in grado di invertire l'aumento ciclo di rialzo dei tassi.
Più in particolare la crescita nominale dei paesi sviluppati è attesa in rallentamento rispetto agli anni post Covid ed inferiore rispetto a quella potenziale sia negli Stati Uniti sia in Europa con il solo Giappone che potrebbe invece sperimentare una crescita nominale in accelerazione. La crescita dei paesi emergenti è attesa stabile ma fortemente condizionata dalla Cina che appare ancora in una fase di ristrutturazione della propria economia a causa delle difficoltà del settore immobiliare e dalle dinamiche del commercio internazionale.
L’inflazione, che della crescita nominale sarà la parte preponderante nei paesi sviluppati, è in rallentamento, anche se la traiettoria di rientro verso gli obiettivi delle banche centrali è ancora sotto attenta osservazione alla luce delle dinamiche del mercato del lavoro. Le politiche monetarie hanno intrapreso un percorso di normalizzazione e nel caso degli Stati Uniti si sono spinte in area di restrizione per far fronte alle dinamiche inflattive dovute sia all’uscita dal Covid sia per disinnescare una potenziale spirale prezzi salari indesiderata in particolare nei paesi sviluppati. Nel corso dell’anno, se tali dinamiche saranno confermate, ci si può attendere una riduzione dei tassi di mercato monetario che riportino i tassi reali su livelli meno restrittivi.
Gli ultimi dati pubblicati a livello macroeconomico mostrano un quadro di riferimento fortemente differenziato tra le diverse aree geografiche: gli Stati Uniti rappresentano l’area in miglior salute grazie alla robustezza dei consumi interni, un mercato del lavoro in buona salute, con squilibri domanda offerta che vanno riducendosi e la solidità degli investimenti malgrado la risalita dei tassi che, sulla base anche delle indicazioni della Fed dovrebbero aver raggiunto sostanzialmente il picco.
Per quanto riguarda l’Europa le dinamiche di crescita mostrano dati molto meno brillanti a causa di un’economia strutturalmente meno dipendente dai consumi interni, che peraltro cominciano a faticare a causa di dinamiche reddituali reali meno forti rispetto agli Stati Uniti e per il rallentamento del commercio internazionale e della Cina in particolare. D’altro canto, anche la politica monetaria della Ecb pare aver raggiunto il picco nell’azione restrittiva in attesa di valutarne gli effetti in termini di dinamiche macroeconomiche.
Il Giappone ha intrapreso una politica monetaria e fiscale fortemente espansiva ed ha fortemente beneficiato di una valuta fortemente deprezzata. La crescita, tuttavia, dovrà trovare un supporto dalle dinamiche internazionali che al momento sembrano essere meno robuste a fronte di una banca centrale che nei prossimi mesi potrebbe abbandonare una politica monetaria che appare sempre meno giustificata dal livello d’inflazione prevalente.
Per l’area degli emergenti il quadro di riferimento è molto differenziato e non privo di incertezze. Nel complesso le dinamiche di crescita economica permangono meno brillanti rispetto a quelle dei paesi sviluppati per una combinazione di minor stimolo fiscale e monetario a cui si aggiungono dinamiche di minor crescita del commercio internazionale. Con specifico riferimento alla Cina, che dei paesi emergenti è quello con il maggior “peso specifico”, pur in una fase di ripresa, resta impegnata in un complesso riequilibrio della crescita verso i consumi interni e di potenziamento ulteriore del know-how mentre si trova a dover affrontare il ridimensionamento del settore immobiliare in una fase di minor collaborazione internazionale (deglobalizzazione).
Alla luce di quanto sopra, riteniamo il mercato azionario sia complessivamente correttamente valutato in funzione dei tassi d’interesse prevalenti, ma presenti ancora margini di correzione, in particolare con riferimento al mercato statunitense. Tra gli elementi di incertezza citiamo in particolare i margini di profitto aziendali ovvero l’andamento delle economie extra Usa. Il mercato europeo risulta essere più a sconto e sottovalutato rispetto a quello statunitense con particolare riferimento alla marginalità delle aziende che beneficiano del venir meno delle pressioni sul fronte energetico e per gli effetti positivi sui bilanci bancari derivanti dall’innalzamento dei tassi. D’altro canto, le dinamiche macroeconomiche e le incertezze sul fronte geopolitico sopra citate ne minano l’appetibilità. Meno costruttiva la valutazione sui mercati emergenti alla luce, oltre che delle considerazioni macro sopra esposte, delle tensioni geopolitiche e del minor livello di tutele a livello di governance.
Per tale motivo riteniamo debba essere mantenuto un peso azionario coerente al profilo di rischio complessivo, privilegiando l’area dei paesi sviluppati, rispetto agli emergenti e società di elevata qualità, leader dei rispettivi settori di riferimento e quindi in grado di mantenere adeguati livelli di redditività (pricing power).
Tra gli investimenti obbligazionari, riteniamo opportuno mantenere la duration di portafoglio bassa rispetto ai parametri di riferimento in particolare sulle scadenze più lunghe in generale ed in Europa in particolare. Le emissioni societarie presentano spread complessivamente contenuti o comunque non sufficienti da compensare il rischio associato in particolare nel segmento high yield e riteniamo quindi che l’approccio da adottare debba essere estremamente selettivo. Maggiori opportunità sono individuabili in ambito investment grade e nel comparto delle emissioni dei finanziari subordinate di emittenti solidi.
In un contesto come quello descritto riteniamo che debbano trovare maggior spazio nell’allocazione dei patrimoni investimenti obbligazionari di durata breve volti a sfruttare questa fase del ciclo dei rialzi delle banche centrali ed approcci d’investimento alternativi, opzionali e/o flessibili e dinamici in ambito azionario.
Nel corso dell’ultimo mese il mercato azionario italiano si è mosso lateralmente con un forte aumento della volatilità sia a causa delle crescenti tensioni geopolitiche in medio oriente e per i rinnovati timori relativi all’inflazione negli Stati Uniti che continua a restare elevata. Restano quindi le incertezze sul timing del taglio dei tassi da parte delle banche centrali, con conseguente penalizzazione dei settori più sensibili ai tassi stessi.
A livello settoriale hanno performato ancora bene gli industriali ed i petroliferi, mentre hanno faticato i difensivi come le utilites.
Nell’ultimo mese i titoli migliori sono stati i petroliferi come Saipem ed Eni oltre ad industriali come Prysmian. Tra i peggiori troviamo invece Nexi, Iveco ed Interpump.
Il mese di aprile è stato caratterizzato da una salita dei tassi americani di 50 bps, offrendo il pretesto per una discesa degli asset di rischio e impattando le principali divise. I dati macroeconomici migliori delle attese e i segnali di ripresa del manifatturiero americano sono alla base del movimento sui tassi, che sostanzialmente hanno smesso di prezzare tagli da parte della Fed a giugno e, in generale, implicano ormai un solo taglio dei tassi durante tutto il 2024. Il decennale USA è passato dal 4.20% di inizio mese al 4.70% e il 2 anni è tornato in un intorno del 5%. A questo movimento hanno risposto anche i tassi europei, meno impattati da una crescita dell’area, decisamente meno promettente, e con una Bce che ha confermato di poter iniziare un ciclo di tagli anche senza aspettare la Fed. Il bund tedesco è arrivato al 2.60%, salendo di 20 bps nel corso del mese. Gli spread di credito hanno iniziato ad allargare sui segmenti a più alto beta, non solo in dollari, ma anche in euro, dove Investment Grade e Subordinati hanno segnato performance negative per circa 1 punto, con i CoCo che hanno sottoperformato tutti gli altri segmenti. Per contro solo marginalmente negativi i risultati in aggregato sull’High Yield, ma con una divergenza di circa mezzo punto tra BB e B, con le ultime che invertono il trend di sovraperformance degli ultimi mesi.
Risultati conseguiti dai principali mercati azionari nel periodo di riferimento:
Stato | Indice | Variazione % dal 20/03/2024 al 19/04/2024 |
---|---|---|
STATI UNITI | DOW JONES | -3,9% |
STATI UNITI | S&P 500 | -4,9% |
STATI UNITI | NASDAQ | -6,6% |
GIAPPONE | TOPIX | -4,5% |
HONG KONG | HANG SENG | -1,9% |
TAIWAN | TAIEX | -1,3% |
KOREA | KOSPI | -3,7% |
MESSICO | BOLSA | -1,3% |
ARGENTINA | MERVAL | +0,3% |
BRASILE | BOVESPA | -3,1% |
INGHILTERRA | FTSE 100 | +2,0% |
GERMANIA | DAX | -1,5% |
FRANCIA | CAC 40 | -1,7% |
SVIZZERA | SMI | -2,8% |
ITALIA | S&P/MIB | -1,1% |
SPAGNA | IBEX 35 | -0,2% |
Total return degli indici obbligazionari EFFA dei titoli di Stato e variazioni delle principali valute contro euro:
Stato | Variazione % dal 20/03/2024 al 19/04/2024 |
---|---|
STATI UNITI | -1,5% |
GIAPPONE | -0,8% |
INGHILTERRA | -1,8% |
AREA EURO | -0,5% |
Stato | Variazione % dal 20/03/2024 al 19/04/2024 |
---|---|
USD/EUR | +2,0% |
YEN/EUR | +0,0% |
GBP/EUR | -0,8% |
Questa schermata consente al tuo monitor di consumare meno energia quando il computer resta inattivo.
Clicca in qualsiasi parte dello schermo per riprendere la navigazione.