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Gli anni difficili della pandemia hanno messo a dura prova l’economia e i mercati di tutto il mondo. Come non bastasse, a rendere più difficile il quadro sono intervenuti gli effetti della guerra in Ucraina e quelli di un’inflazione che ha raggiunto livelli che non si vedevano da 40 anni.
Il timore in questo quadro difficile è che sull’economia globale si stia preparando una grande tempesta. L’Europa, minacciata da una crisi energetica e da un inverno che potrebbe essere al gelo, rischia di pagare un prezzo molto salato. In un panorama così complesso, il desiderio di un ritorno alla «normalità» è grande.
Ma quale è oggi la normalità, o meglio, la comfort zone a cui ambire? Dare una risposta a questa domanda non è un esercizio semplice, anche perché le incognite all’orizzonte sono tante e il quadro è in continua evoluzione. Concentrando il campo solo sulle politiche monetarie, nei pensieri di molti ritornano sicuramente i benevoli decenni che hanno preceduto la pandemia. Si è trattato di anni di politiche monetarie ultra-espansive che, unite a misure considerate «non convenzionali», come l’acquisto sul mercato di obbligazioni o come il calo dei tassi d’interesse a livelli sotto lo zero, sono venute in aiuto del sistema finanziario e dell’economia globale all’indomani della crisi finanziaria e dell’euro.
Questo ha portato alla situazione storicamente del tutto anomala per cui, negli ultimi dieci anni, in Europa e negli Stati Uniti, sia i tassi di interesse a lungo termine determinati sul mercato obbligazionario sia i tassi del mercato monetario definiti dalle Banche centrali, si sono mossi quasi sempre su livelli inferiori al tasso d’inflazione ufficiale. Questa costellazione ha permesso un ambiente estremamente favorevole per i mercati obbligazionari, per quelli azionari e per il settore immobiliare, determinando così una grande comfort zone a cui molti adesso guardano con nostalgia.
Naturalmente questo periodo è stato anche interrotto da crisi talvolta gravi, ma di breve durata e combattute rapidamente e con molta forza dalle Banche centrali. In ogni caso, per la gran parte degli ultimi quattro decenni, i mercati hanno beneficiato del più grande e lungo mercato toro di tutti i tempi. È stato un bel periodo ma è improbabile che nei prossimi anni si torni a questa congiuntura favorevole che oggi ci sembra la normalità ma che era del tutto «eccezionale».
Adesso a pesare sullo scenario ci sono nuove incertezze. In testa a tutte domina il tema dell’inflazione che, per la prima volta in più di quarant’anni, sta costringendo le Banche centrali a difendere la propria credibilità nel mantenere la stabilità dei prezzi, dopo aver insistito per mesi che la fiammata inflazionistica era solo un fenomeno «temporaneo». Ora gli Istituti centrali devono correre ai ripari. Per riuscire nel proprio intento, stanno quasi simultaneamente puntando su ampi e rapidi rialzi dei tassi d’interesse. Capofila è la Banca centrale americana: nel meeting di settembre, la Fed ha alzato i tassi di 75 punti base, portando il target range a 3-3,25%, un livello che non si vedeva dal 2008. Nel corso della conferenza stampa, Powell ha più volte sottolineato che la Fed è disposta a fare di tutto per riportare l’inflazione al target del 2%, anche se questo vuol dire infliggere dei costi all’economia in termini di Pil e di occupazione.
Naturalmente anche nel «nuovo mondo» che si è creato, e che è caratterizzato da tassi in rapida risalita e da economie fragili, non mancheranno opportunità per gli investitori. Si tratterà però, molto probabilmente, di un mondo più volatile e più impegnativo. Di sicuro la ricerca di stabilità sarà una delle bussole necessarie per trovare una nuova normalità. In primo piano tornerà la strategia della formica, fatta di lungimiranza e di pianificazione: per sentirsi al riparo dagli eventi futuri.
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